Eritrea da vicino

Il racconto di Piergiorgio Setti, medico anestesista pediatrico , Volontario di Un Cuore Un Mondo Massa nelle missioni in Eritrea, racconta di un ragazzo Eritreo, Osman affetto da grave cardiopatia acquisita causa streptococco non curato.

Durante la nostra ultima missione chirurgica ad Asmara, il mio compito è stato quello di presidiare e coordinare il reparto di terapia intensiva nel quale il Team di anestesisti e infermieri specializzati si prende cura dei pazienti appena rilasciati dalla sala operatoria e posti in osservazione.

Ci aspetta un lavoro senza sosta, turni di 12 ore con 4 notti alla settimana.

Il primo giorno abbiamo preso in visione la lista dei pazienti selezionati per gli interventi; ci fu immediatamente segnalato un caso di grave cardiopatia acquisita, reumatica, un ragazzo proveniente da Cheren, al quale la cardiopatia fu riscontrata durante lo screening cardiologico svolto dal team di Un Cuore Un Mondo nel mese di Aprile. Osman, questo il suo nome, è longilineo come molti dei ragazzi delle regioni a ovest dell’Eritrea, è decisamente troppo magro, soffre di dolori alle articolazioni e quasi non è in grado di camminare. La sua resistenza fisica è al lumicino. La cardiologa Nadia Assanta ci spiega che il quadro clinico è compromesso e da subito, durante lo screening effettuato a Cheren, la situazione è apparsa grave. L’unica strada è quella di tentare un intervento che ripari al meglio le valvole cardiache attaccate dall’infezione; confidare nelle buone mani del cardiochirurgo dottor Murzi.

Nadia ci raccontava che entrambi i genitori, al momento della visita medica nella scuola di Cheren, apparivano rassegnati; i medici del locale ospedale, non disponendo di ecografi, avevano solo rilevato irregolarità di funzionamento del cuore, ma non avevano idea dello stato del cuore del ragazzo. Il deperimento fisico era evidente, non così le cause. Dopo lo screening della cardiologa, tutto apparve nella sua gravità; non fu facile comunicare l’esito ai genitori, spesso la traduzione fatta al momento da parte del personale Eritreo non aiuta a trasmettere, qualora ci fosse, anche un timido barlume di speranza.

Il ragazzo viene operato tra i primi, in modo che si possa avere abbastanza tempo per seguirne il follow up.   L’intervento riesce, nel senso che le valvole vengono corrette al meglio, non è necessario impiantarne una meccanica – dovrebbe venire rimpiazzata entro 3 anni causa l’auspicata crescita del ragazzo; una valvola biologica potrebbe restare più a lungo nel cuore, ma andrebbe comunque sostituita entro 10 anni. La decisione di correggere al meglio il danno viene presa dal chirurgo per consentire di valutare nel tempo la ripresa del fisico debilitato ed eventualmente intervenire in periodi successivi con il paziente in condizioni migliori dell’attuale.

Il periodo di ricovero, tra alti a bassi, prosegue e siamo tutti soddisfatti della reazione di Osman; dopo i primi 3 giorni in terapia intensiva, appena comprende che probabilmente ce l’ha fatta, diventa immediatamente reattivo alle sollecitazioni, accetta l’alimentazione e ha uno sguardo attento a ciò che gli gira attorno. Anche i genitori, soprattutto la mamma che non lo lascia nemmeno per un minuto anche la notte, sembra siano più fiduciosi.

E’ arrivato il momento di tentare di alzarsi dal letto; siamo a 6 giorni dall’intervento. Il ricordo della mamma va sicuramente agli ultimi momenti prima del ricovero: passo incerto, fiato grosso, debolezza e dolori. Il ragazzo pare timoroso e mi avvicino a lui per capire se ha bisogno di supporto. Lo prendo per mano, sento il suocuore battere nelle mie mani. Appena timidamente fa qualche passo, mi trasmette immediatamente la sua gratitudine e gioia, mentre la mamma sta a poca distanza e non sa ancora a cosa pensare, se gioire per una situazione favorevole oppure aspettarsi qualche imprevisto.. non si esce in 5  minuti da anni di apprensione e angoscia.

Arriva il papà, abbracci e stretta di  mano a tutti noi; non si apettava di trovare il proprio figlio in piedi ad attenderlo. Mi ricordo che il papà non smetteva di ringraziarmi e volle fare anche un selfie con me.

Ho assistito ad altre situazioni analoghe, e loro, i bambini, ringraziano col cuore nelle mani, nelle mie mani. Ecco perché ho imparato in questi anni a stare con loro, cosa che non sapevo fare prima. Ho imparato a guardarli negli occhi senza schermi o pregiudizi, a sedermi vicino a loro semplicemente per ascoltare il loro cuore. Ho imparato ad accompagnarli lungo tutta la strada delle cure e quelle volte che ero vicino a loro, con la loro mano nella mia nel momento di lasciare il letto dell’ospedale per riprendere a camminare, ho veramente sentito il loro cuore nelle mie mani. E certe espressioni mute nelle parole ma ricche di amore negli sguardi e nei gesti sono stampate nella mia mente e lì rimarranno per sempre.

Amo la vita.

Piergiorgio Setti